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Sabato, 9 Maggio 2009

Cammino ne cuore del deserto messicano.

Ho dormito sotto la più splendente via Lattea mai vista. Ho scoperto sorrisi dietro angoli che non mi aspettavo, e mani in soccorso in luoghi in cui non avrei mai pensato possibile trovare.

Concorso Storie Vagabonde

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Vagabondo0


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Vengo da tre settimane di viaggio in autobus e autostop; ho visto il Pacifico e mi ha fatto l'effetto di un enorme cane San Bernardo che si diverte a giocare: dapprima tranquillo, poi d'improvviso scagliarsi con sguardo provocante verso di te.

Rotolante.

Ululante.

Ho dormito sotto la più splendente via Lattea mai vista.

Ho scoperto sorrisi dietro angoli che non mi aspettavo, e mani in soccorso in luoghi in cui non avrei mai pensato possibile trovare.

Una realtà effettivamente diversa e concreta, che ti trasmette la consapevolezza di un costante allargamento di orizzonti culturali.

Dopo questo e altro eccomi seduto, infreddolito e stanco in uno stato semi catatonico ma appagato, su una panchina mentre aspetto un altro autobus che mi getterà sul confine del tanto agognato deserto.

Appena arrivato a San Luis Potosi dopo aver attraversato la catena montuosa di Durango, devo fare altri due cambi prima di arrivare alla piccola, accogliente e antica cittadina di Real de Catorce.

I trasporti non sono dei migliori, ma penso che se fosse stato altrimenti, non proverei neppure il gusto della conquista che tanto considero fondamentale.

In questo luogo si respira un'atmosfera molto positiva.

Per raggiungere la città bisogna attraversare un vecchio tunnel di ciottoli scavato nella montagna e una volta arrivati si ha l'impressione che il tempo si sia fermato.

Verso le 11 del mattino, dopo due ore di perlustrazione della cittadina mi avvio camminando verso il deserto. Mi ci vorrà un giorno e mezzo e dovrò dormire in tenda una notte prima di arrivare al piccolissimo villaggio chiamato El Tecolote. Non faccio altro che camminare e tolgo, al mattino, il ghiaccio formatosi sul tetto della tenda.

22 dicembre. Ai confini del deserto il cielo è coperto di nuvole, il paesaggio toglie il respiro, e si ha l'impressione che tutto, intorno, possa benissimo fare a meno della tua presenza. In questi luoghi si impone una sensazione di grandezza indescrivibile.

23 dicembre. Arrivo finalmente all'accampamento in mezzo al deserto. In questo luogo incontro Don Luis: "El jefe del desierto". In cinque giorni mi vengono raccontate leggende di quando era giovane, di come si svegliava la notte per immergersi nel buio in cerca di chi si perdeva sotto l'effetto  di erbe curative, chiamate dagli indigeni del posto: medicine per anima e corpo.

Sono venuto per caso e fortuna a contatto con alcune di queste comunità e sono rimasto sbalordito per il modo in  cui sorridono: ingenui, forti, puri e potenti,  esplosioni di vivida semplicità.

Tra tutte le leggende, quella che mi affascina di più mi è stata raccontata dal "jefe" in persona.

Un giorno Don Luis rimane in meditazione con un indigeno "guichol" proveniente dall'altra parte dello Stato del Messico: Nayarit.

Il ragazzo si accorge del problema di alcolismo che distrugge lentamente il "capo del deserto", cosi ritorna al suo paese ripresentandosi qualche tempo dopo con uno sciamano.

Questo "medico" fissa il "jefe" e senza sapere chi è gli dice: "tu sei malato".

Don Luis rimane sbalordito, e lo segue in ritiro nel mezzo del deserto. Tornato, "non tocca un goccio d'alcool per 2 settimane"; inevitabilmente lo sciamano riparte e poco dopo riprende il vizio. Ha occhi rossi, il Jefe, mentre mi racconta tutto questo, puoi sentire il suo animo vivo, disperarsi e fremere.



Mi dice che non sei tu che trovi il peyote ma è lui che trova te, e mi spiega, con la sua voce calma e ruvida come sabbia, che la gente va nel deserto per cercare qualcosa di puro dentro sé stessi, per riacquistare il tempo per ascoltarsi: per fare ciò ha bisogno del silenzio del deserto, e questo silenzio ricco e sfamante lo trova nel Peyote.

Prosegue affermando  con pacifica convinzione che a piccole dosi si impara qualsiasi cosa, nel deserto. Si apprende la capacità dell'attesa, mentre la vita si allunga e non sembra più cosi sfuggevole; si vive in modo disteso una vita che ora ha un sapore più dolce.

La necessità di cambiamento rimane, ma il gusto per  il momento si fa più approfondito e concreto.

Di fronte a me ho un volto di mille rughe sorridenti e luminose.

Nella notte coyote in lontananza. Io, nella mia tenda, mi lascio dondolare dal loro richiamo; Felice.

Dal giorno successivo smisi di scrivere i miei "pensieri" e un "diario di viaggio" su una mappa logora che portavo sempre con me; certo mi bagnai ancora fra le stelle in spiagge deserte vicino a Puerto Escondido e assaporai  bramoso di conoscenze i modi di vita quotidiani degli indigeni più vicini al Guatemala: non ho mai incontrato persone con tale dignità e forza  umana.

Avrei fissato attonito falchi che scrutano piramidi antiche e coccodrilli seminascosti ansiosi all'ombra di alberi  giganteschi, e ancora fenicotteri che animavano le sere sulle sponde di languidi fiumi ombrosi sulle coste dello Yucatàn.



Avrei continuato per un altro mese a visitare il Messico, ricongiungendomi con vecchi amici che avevo lasciato in Città e incontrando poi mia sorella e una nostra amica in Yucatàn.

Avrei continuato a scoprire, ma il MIO viaggio era finito, un viaggio che si era intrecciato a polvere di strade sterrate e solitudine, a persone incredibili ancora vogliose di vivere a pieno la bontà della vita e crescita interiore. Sensazioni travolgenti che riempiono e riportano alla mente emozioni che spesso è più facile dimenticare solo per il fatto che richiedono un presupposto di rispetto morale, spirito critico e voglia di conoscenza.

Sensazioni che solo l'effetto della partenza e dell'arrivo in posti mai visti ti possono dare, che solo voci mai ascoltate ti possono trasmettere. Che solo il Viaggio ti permette di vivere.


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