RACCONTO
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Giovedì, 18 Settembre 2014

Chefchaouen, paradis naturel et artificiel

Lo spagnolo frequenta la terrazza da tipo trent'anni, almeno un mese l'anno qui lo trovi che fuma molto, poco si sposta e tutto sa. Attacca bottone facilmente, col suo tono pacato e gli occhi un po' persi nel vuoto...

ARTICOLO DI

Giampaolo.KABKA3

Chefchaouen, paradis naturel et artificiel
 
"Mon poème prélude en F
Suit I
Puis L et A
La cinquième lettre est un D
Puis viennent L et F
I et N complètent son nom
Que de grâces
Quelle taille et quelle beauté
Qui ne l'aimerait pas"
 
Lo spagnolo frequenta la terrazza da tipo trent'anni, almeno un mese l'anno qui lo trovi che fuma molto, poco si sposta e tutto sa. Attacca bottone facilmente, col suo tono pacato e gli occhi un po' persi nel vuoto. Non il vuoto di nubi e montagne lontane nella valle, dei minareti che svettano sulle case da basso, un vuoto limitato al parapetto della terrazza. Per qualche consiglio si può chiedere a lui, o semplicemente guardarlo ed annuire, di quel che dice afferro solo una piccola parte. Dopo tre settimane non voglio che parlare francese o quel poco arabo marocchino assorbito. La comunicazione con gli altri ospiti è ridotta, si condivide il mio Ricard e le olive, assaggio quanto mi offrono giusto perché dire di no sembrerebbe da bacchettoni, e poi è a km zero. 
 
"Des que je lui addressais la parole
Ma langue devenait rétive
Ainsi la bête de somme
Habituée à sa ration d'orge"
 
Il blu che pastella la medina di Chefchaouen è piuttosto recente, gli ebrei esuli dalla Spagna franchista hanno importato l'usanza negli anni '30, per questioni di fede o forse come dissuasore cromatico naturale per gli insetti... Che poi i più maliziosi sostengono sia piuttosto una trovata pubblicitaria. Prima le abitazioni non avevano colore, era il verde a dominare, un abitato del Rif come tanti. Poi mano a mano le mille tonalità di blu si sono diffuse a macchia d'olio. O forse prima hanno provato altri colori, fucsia?! Mh, no, rifacciamo da capo... Ancora oggi li vedi un po' ovunque ripassare il colore o tinteggiare di fresco. Passo, sorrido e sussurro: Keep it blue.
 
La terrazza è un piacere da quattro euro a notte, bella ed economica, ma ci vado giusto a crollare da esausto. Una mattina è giorno di mercato, sveglia di buon'ora e vado a cercarlo, non so dov'è e non chiedo informazioni, voglio captare i movimenti dei passanti, le intenzioni di sfuggita. Ma il camminare di uomini e donne non pare avere una direzione univoca, dove vanno? Mi confondono ed è solo allora che realizzo l'abitudine differente: da noi si monta presto i banchi, in Marocco se la prendono con calma. Dopo due ore verso le nove ancora c'è chi arriva e comincia appena ad apparecchiare. Pas de problem, dopo tè e rghaif passo buoni tre quarti d'ora seduto nel cortile del macello, qualche chiacchiera con chi registra i propri animali, e gli addetti che mettono ordine a suon di frustino. Grazie della compagnia e buona giornata a tutti, armenti compresi. All'asta del pesce invece i venditori si alternano di mattina in mattina a battere l'asta, il guadagno per l'incombenza è uno o due pesci da ogni cassetta battuta.
 
Oltre le mura della città comunque comincia lo spettacolo vero, 1300 m di dislivello impreparato, acqua: check, bussola: check, carta dei sentieri: none. Una gola sassosa, muretti a secco e campi di cannabis, una strada sconnessa e tanto fuori pista tra fratte inestricabili per arrivare poi al punto usuale, quello che coincide in ogni camminata fatta n'importe ou. Quello in cui l'istinto e il desiderio di proseguire sono fortissimi... ancora un po', almeno fino a quel colletto, lì alla svolta. Ma l'ora e la lucidità impongono il rientro e tirato ancora un po' avanti ci si volta. Una sconfitta sempre pesante e dolorosa per il viaggiatore affamato d'orizzonti. Nessuna possibilità di percorso circolare come cercavo, la prossima volta ci vuole una guida come Murad, "obiettivo", conosce bene le montagne ma io lo conosco soltanto la sera dopo... Traduco anche io il mio nome per l'occasione, "petit cadeau de Dieu".*
 
E pensare che venivo dalla Spagna, da una delle diverse enclavi spagnole sulla costa africana a dire il vero, Ceuta. La Plaza de soberanía (di sovranità), un nome ampolloso per una lingua di terra con una cittadina composta, un casinò triste, Monte Hacho e tanta tanta frontera... Se qualcuno mi spiegasse poi cosa ci fa un paralitico in carrozzella abbandonato nella terra di nessuno, tra Marocco e UE sotto il sole dell'ora più calda, incapace di muoversi come di articolare mezza parola. Lo spingo poco, giusto all'ombra, certo non fino al posto di frontiera spagnolo. Con le dogane non si scherza, si diventa sospettosi a scapito della cortesia e dell'umanità, una brutta reazione per un brutto posto.  E poi soprattutto ancora una volta, ma come ci è finito l'infermo là in mezzo? E no signora, il trolley è pesante ma doveva pensarci prima, ora se lo può anche tirare da sola. Niente da dichiarare, eccetto la mia cattiveria. Al senso inverso poi tutto diventa una barzelletta... sarei potuto benissimo rientrare in Africa senza un timbro, chi corre, chi scavalca, lavori in corso, un via-vai di bici accroccate e tante indicazioni discordanti. Così ci piace.
 
"Assiste mon Dieu
Mon coeur endeuillé
Envoie-lui la patience comme remède à l'exil"
 
 
"citazioni" di Si Mohand ou-Mhand, berbero d'Algeria 1848-1905, da un libro portato in Marocco e ceduto a Chefchaouen. *contatti a disposizione su richiesta in privato.
 

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